Ovvero: Cerchiamo ovunque l’assoluto ma troviamo sempre e solo cose…
J J Grandville, Les fleurs animées, Paris, 1830 |
«Ogni colore dona un particolare stato d’animo» e «una superficie azzurra appare arretrare» aveva insegnato Goethe (Farbenlehre, 1810). Generazioni di giovani tedeschi si metteranno a vagabondare per monti e valli verso l’orizzonte – l’azzurro infinito – colti da un’aspirazione – aimè! – dolorosa: perché l’infinito ha, effettivamente, la bizzarra peculiarità di essere irraggiungibile e di ritirarsi costantemente. Ma i Romantici sono irresistibilmente e funestamente attratti dalle cose naturali “cedevoli e molli”. Anche scivolare tra i flutti azzurri e morire annegati è di moda, meglio se giovani e belli e, conseguentemente, innamorati.
Per Heinrich von Ofterdingen, cantore tedesco medievale, il momento di mettersi in viaggio verrà dopo aver sognato un fiorellino blu, un nontiscordardimé. Oppure è il volto di una fanciulla? che sembra comparire tremulo all’interno della sua corolla…? Le immagini si sovrappongono e si confondono. «Nessun tesoro potrebbe risvegliare in me una così indicibile avidità. Lungi da me ogni altra brama: ardo solamente dal desiderio di vedere il fiore azzurro. Mi torna in mente incessantemente e non posso scrivere d’altro o ad altro pensare. Una sensazione come questa non l’avevo mai provata: è come se prima avessi solamente sognato o anzi piuttosto se mi fossi addormentato in un altro mondo. Infatti, nel mondo in cui vivevo, chi si sarebbe preoccupato di fiori? Né ho mai sentito di una così strana passione per un fiore…» Alla ricerca della ragazza-fiore va dunque ramingo per il vasto mondo.
Hans von Kulmbach, Ritratto di giovane uomo, 1508, (Metropolitan Museum of Art, New York). Sul retro del quadro l’immagine di una giovane donna che fa una coroncina di nontiscordardimé. Il cartiglio recita: lego con i nontiscordardimé. |
Non si sa con certezza se Heinrich von Ofterdingen sia realmente esistito. La sua è una storia fantastica, scritta dal visionario poeta tedesco Novalis e pubblicata postuma (1802), perché anch’egli morirà troppo presto, giovane e bello, “annegato” nella tisi, la malattia del secolo. Da qui in poi del dolce e leggermente mortifero olezzo del fiore blu non ci si libererà più. Affiora e ricompare in infinite trame e rivoli di poesia fino ad oggi. Se ne reinventano leggende falsamente medioevali che ne spiegano il nome: «Un cavaliere e la sua dama passeggiavano lungo un fiume; il cavaliere, nell’atto di raccogliere dei fiori azzurri da offrire all’amata cade nei flutti. Annegando la implora: Vergisz mein nicht!» Non ti scordar di me. Ben più elegantemente Goethe aveva scritto: «Si levò una ninfa dall’acqua… Ella gli parlò, e cantò per lui… – Non ti attrae il cielo profondo, l’umido azzurro trasfigurato? Non ti alletta la tua stessa immagine nell’eterna rugiada? – L’acqua mugghiava, e si gonfiava, lambendogli il nudo piede; il suo cuore era gonfio di struggente nostalgia, come al momento del saluto dell’amata. Ella gli parlò, e cantò per lui: allora per lui fu la fine. Appena egli si immerse ella quasi lo trascinò ed egli non fu mai più rivisto.» (Goethe, Der Fisher, 1779). Queste immagini continuano a perseguitarci anche attraverso una longeva tenera tradizione oleografica, attraverso valentini e banali monumenti funebri. Disseminate in poesie e romanzi. Ricordo, nostalgia, lontananza, fedeltà.
Cicely Mary Barker, Flower Fairies of the Garden, London, 1944 |
Nel nontiscordardimé, a dire il vero, c’è anche poco da mangiare. I contadini friulani, da bravi e concreti montagnini, non stavano a badare a tante sottigliezze, e di tutte l’erbe facevano un fascio. In tutto quarantadue erbe selvatiche ma c’è chi dice cinquantasei, non importa, comunque molte – tra le quali anche il nontiscordardimé –, raccolte a primavera e cucinate tutte insieme per preparare il pistic. Questo sta a significare che i contadini friulani di sottigliezze ne avevano eccome, per esempio la capacità di riconoscere questa cinquantina di erbe selvatiche commestibili che spuntano in primavera e di dare a ciascuna un nome. Alle erbe vanno aggiunti i funghi e altri vegetali mangerecci più le essenze per costruire case e oggetti le fibre per i cesti e le funi e i tessuti e così via così via, una conoscenza della botanica locale veramente impressionante. Non risolvevano le cose nell’assoluto ma l’assoluto nelle cose. Non paesaggi infiniti e intangibili ma territori concreti vissuti a capo chino e con occhio aguzzo. Con tante “cose” utili (e usabili) dentro. Tutto un’altro modo di percepire il mondo.
Georg Christian Oeder, Flora Danica, Kopenhagen, 1761-1883 |
Bibliografia
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